mercoledì 17 dicembre 2014

Uomini d'acciaio
















Me ne stavo appoggiato
al finestrino di un treno
che
stanco
fischiava di dolore;
il respiro appannava e spannava il vetro
come la risacca del mare;
già mi cullavo, bambino,
dondolando su e giù
e poppando sogni dal futuro,
quando
entrando dalla porta
il vento si portò con se
qualcosa del Mondo.
Avevo già parlato con quell'uomo,
così ci stringemmo la mano
col rispetto
di vecchi soldati.
In vero però le ferite le aveva lui:
metalmeccanico,
operaio con unghia nere e scarponi pesanti.
Rigidi anni
passati a piegare la resistenza
del superbo acciaio
l'avevan reso un solido incudine:
mani come nodosa quercia,
spalle come travi
ed occhi come ruvidi sassi.
Forse per stanchezza,
ma davanti ad uno studente
abbracciato alla cartella
abbassò il pesante scudo
per mostrar le cicatrici:
sgobbava tutto il giorno per mantenere la sua compagna
malata di vino e sigarette;
quando l'aveva conosciuta però non era così;
"ma ora ha perso la testa"
"vuole le sigarette, solo le sigarette"
"è una donna meravigliosa ma quando ha il bicchiere in mano.."
"mi ci incazzo ma lei non vuol capire"
"così si rovina e basta..."
Non lo interruppi mai,
non voleva consigli da un ragazzino,
voleva solo parlare con se stesso
senza sembrare matto.
Mi salutò,
una volta accompagnato a casa,
sbattendo forte lo sportello della macchina,
forse per vendetta
contro l'ennesimo
pezzo
d'acciaio.
Si sarebbe fatto a piedi quella strada
anche col diluvio,
in fondo
quando affronti la tempesta
non ti accorgi se fuori piove.



2 commenti:

  1. In effetti anche un acquazzone non spaventa più se ogni singolo giorno si affronta la tempesta.
    Caro Marco con questi tuoi incontri che poi diventano poemi fai ricordare, a tutti noi che ti leggiamo, che esistono persone che vivono vite da eroi nel silenzio.
    Un caro saluto !

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  2. E' stato un piacere leggerti...come sempre. Ti lascio in miei più sinceri auguri di Buone Feste, un caro saluto Stefania

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